L’artrite reumatoide, conosciuta anche con l’acronimo “RA”, è una patologia autoimmune infiammatoria cronica per la quale le membrane che circondano le articolazioni finiscono con l’infiammarsi e rilasciare citochine (delle molecole proteiche prodotte dalle nostre cellule, solitamente per mezzo di uno stimolo) che causano l’usura della cartilagine circostante e la conseguente perdita di massa ossea nelle vicinanze delle stesse articolazioni colpite.

Indubbiamente, come forse già noto a tanti, l’artrite reumatoide è più diffusa nella popolazione anziana (over 60), ma possono esserne affetti anche bambini e giovani adulti. La malattia colpisce mediamente fino a tre volte in più le donne rispetto agli uomini.

Le persone affette da RA provano dolore fisico, sono affaticate da gonfiore e rigidità articolare, infine hanno ridotta mobilità. Tutto ciò porta a difficoltà evidenti nella capacità di affrontare le attività quotidiane e, proprio per tale ragione, quando l’artrite non è adeguatamente contrastata, può portare ad un danno permanente delle articolazioni.

La RA accelera, come accennato in precedenza, anche il processo di perdita di massa ossea ed è perciò da considerarsi a tutti gli effetti come un vero e proprio fattore di rischio di osteoporosi. Nello specifico, le persone affette da artrite hanno un rischio di 1,5 volte superiore di subire fratture da fragilità ossea rispetto al resto della popolazione che non ne è affetta. Più la RA si aggrava, più l’osso ne risente.

La diagnosi precoce e l’adozione di strategie preventive sono i fattori chiave per rallentare la perdita di massa ossea e per prevenire le fratture dovute all’osteoporosi. Fondamentale quindi rivolgersi subito al proprio medico per diagnosticare la patologia appena possibile tramite esami ematici, per identificare i marcatori dell’infiammazione, e una tomografia DXA (Dual-energy X-ray Absorptiometry) per misurare la densità minerale ossea.

È importante sottolineare anche come, al contrario della RA, l’osteoartrite (un altro tipo di patologia cronica relativa sempre ai danni della cartilagine) non sia associata ad un rischio maggiore di osteoporosi.

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