Quasi tre milioni di fratture, 37,5 miliardi di euro di spese sanitarie: è questo il conto salato che i sei maggiori Pesi europei devono pagare per la fragilità ossea. Per il 2030 queste cifre sono destinate a salire del 27%: possiamo permettercelo? Come possiamo interrompere questa spirale? Su queste e altre domande la giornalista Attilia Burke ha intervistato la Professoressa Maria Luisa Brandi in un interessante articolo dal titolo “Il conto troppo alto della fragilità ossea”, apparso su Fortune Italia.

Un problema che riguarda donne e uomini: “per la fragilità ossea gli uomini sono i più trascurati. Vengono da noi solo quando hanno avuto almeno due fratture perché dopo la prima non si pensa subito all’osteoporosi”, dice la Professoressa Brandi, che spiega come uno dei problemi sia anche la carenza di diagnosi: su un milione di italiani di sesso maschile per i quali viene rilevata questa condizione, potenzialmente ce ne sono altrettanti per i quali l’osteoporosi non verrà mai diagnosticata.

L’articolo mette in luce come uno dei nodi del problema sia la carenza di trattamenti dopo la prima frattura: se dopo un primo evento fratturativo non sono adottati regimi terapeutici preventivi efficaci, il paziente fratturato con ogni probabilità sperimenterà ulteriori eventi, con un costo enorme in termini di sofferenza e di spese sanitarie.  Infatti, come spiega ancora la Professoressa Brandi “La persona ‘fragile’, ad ogni frattura, incorre in un rischio di rifratturarsi 5 volte più elevato rispetto ad una persona sana”. Questi pazienti dovrebbero essere trattati con farmaci specifici e con una supplementazione con calcio e vitamina D, ma su 100 pazienti che sperimentano una frattura di femore, solamente il 60% inizia a intraprendere una terapia farmacologica nell’anno successivo alla frattura.

Quella della fragilità ossea è attualmente “un’area abbandonata”, afferma la Professoressa Brandi, e la risposta da parte dei decisori è sempre “costa troppo”, una risposta miope, che non tiene conto di quali saranno le spese che dovremo sostenere tra dieci anni se oggi non facciamo nulla. “Viviamo alla giornata. Con una sanità che sembra diventata un lusso. Ogni tanto amerei che in certe realtà decisionali entrassero anche i tecnici veri e non chi fa i conti della serva”, è l’amara conclusione della Professoressa Brandi.

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